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Arte e Cultura

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martedì 22 settembre 2020

I NASONI raccontano: Roma e le sue borgate. Torna lo storytelling urbano dei 'nasoni' dal 24 al 27 settembre


I Nasoni raccontano - la storia ha il naso lungo
IV Edizione Villa Gordiani 

Il cuore storico delle borgate nello storytelling urbano del Teatro dell'Orologio
che racconta Roma attraverso le sue fontane

24, 25, 26, 27 settembre 2020, ore 20.30. Ingresso da via Prenestina 325
Ingresso Gratuito 

Dopo Centocelle, Torpignattara e il Pigneto, dal 24 al 27 settembre  2020 torna lo storytelling urbano che dal 2017 a oggi ha dato voce alla città, al cuore storico di borgate e periferia, affidando ai caratteristici "nasoni" il racconto in soggettiva di una Roma arcaica e popolare con I Nasoni raccontano – la storia ha il naso lungo, ideato a Fabio Morgan. 

Ogni Nasone è custode di una storia, di un avvenimento: intervistando i cittadini, si raccolgono materiali storici e aneddotici per trasformarli in un testo teatrale che viene allestito in forma itinerante all'interno del quartiere scelto.

Al centro della quarta edizione del progetto è Villa Gordiani, quadrante capitolino dalle alterne vicende, oggetto di riflessione sociale e artistica negli scritti di Moravia e Pasolini e scenografia ideale di pellicole come "Accattone" sempre di Pasolini.

Nata come borgata ufficiale tra il 1928 e il 1930, nel dopoguerra Villa Gordiani era abitata da povera gente, circa 5000 persone, che vivevano in casette a un piano, costruite con materiali di risulta, prive di acqua corrente, di luce e di bagni. 

L'acqua veniva presa da fontanelle poste in mezzo alle casette, mentre per i servizi igienici, sempre tra una casetta e l'altra, c'erano delle latrine pubbliche alla turca, con i canali di scolo ai lati, a scapito dell'igiene.

Villa Gordiani nella sua storia di trasformazioni è la testimonianza di una Roma dalle mille anime: proletaria e contemporanea, dagli sfollati del dopoguerra alla borghesia, nel tempo la borgata ha subito profonde mutazioni, tra cui l'abbattimento, negli anni '80 delle piccole case popolari. 

Tra trasformazioni, abbattimenti, distruzioni, Villa Gordiani ha visto radicalmente cambiare la sua fisionomia urbana e sociale. Dagli anni Trenta al 2020 tutto è cambiato e si è trasformato. Ciò che è rimasto, testimone delle alterne vicende sono loro: i nasoni. Quei nasoni dove si disseta accattone, quei nasoni che negli anni Cinquanta erano unica fonte per approvvigionamento idrico, quei nasoni che oggi servono per dissetare i bambini che qui giocano all'uscita di scuola.

Dal 24 al 27 settembre 2020, saranno proprio i nasoni a raccontare e farsi testimoni di una Roma ormai scomparsa e di quella presente: narratori inediti, osservatori privilegiati della vita degli ultimi 90 anni di borgata e oggi protagonisti della IV edizione di  Nasoni raccontano – la storia ha il naso lungo. 

I Nasoni raccontano – la storia ha il naso lungo è un progetto di storytelling urbano che, immaginando di poter adottare il punto di vista dei Nasoni, note fontane di acqua potabile gratuita caratteristiche della città e diffuse in tutto il territorio, restituisce uno spaccato di vissuto storico dell'area in cui insiste.

Gli obiettivi del progetto sono quelli di recuperare la consapevolezza dei territori, favorire l'incontro intergenerazionale e contribuire a creare occasioni di sviluppo dell'identità collettiva, definendo una nuova narrazione storica dei luoghi e degli spazi attraverso l'intreccio di eventi di rilievo nazionale ad aneddoti locali, trasformando così il quartiere in un palcoscenico.

"I Nasoni raccontano" ha spiegato il regista Leonardo Ferrari Carissimi "giunto ormai alla sua quarta edizione, riesce a creare un equilibrio comico e poetico tra tempo e spazio, dove la narrazione serpeggia fluidamente attraverso i secoli. Nella splendida cornice di Villa Gordiani, spettatrice di infinite storie e personaggi, si susseguono scene provenienti da diverse epoche, dalla Roma antica sino ad arrivare ai giorni nostri. Anche quest'anno I Nasoni raccontano trasforma un luogo della capitale, spettatore e protagonista della storia italiana, in un luogo intimo, una dimensione dell'anima attraversata dall'amore, dalla rabbia, dalla tristezza e dal sorriso".

I Nasoni Raccontano - La storia ha il naso lungo, ideato da Fabio Morgan, è uno spettacolo della Compagnia del Teatro dell'Orologio scritto da Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi. Regia di Leonardo Ferrari Carissimi, con Matteo Cirillo, Anna Dell'Olio,  Daniele Di Forti, Alessandro Di Somma, Susanna Laurenti, Arianna Martines, Diego Migeni, Giulia Nervi,Benedetta Russo, Riccardo Viola, Pietro Maria Virdis. Scene e costumi Alessandra Muschella, aiuto regia Marta Franceschelli, direzione tecnica Martin Emanuel Palma, organizzazione Gianni Parrella, comunicazione E45, amministrazione Simona Centi, assistenti Greta Salvati, Camilla Dallera, Alessandro Lucarini, voce off di Gabriele Lopez. Foto di Manuela Giusto. 

Produzione Progetto Goldstein con il sostegno di Lazio Crea 

Si ringrazia il Municipio V Roma Capitale Un ringraziamento alle amiche di Mixis officina delle erbe che l'amaro Gordiani lo producono davvero!

prenotazione obbligatoria  06 88971117




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venerdì 18 settembre 2020

UNA DOMENICA DI CULTURA E BENESSERE ALL’ABBAZIA DI SANT’EUSTACHIO

UNA DOMENICA DI CULTURA E BENESSERE ALL'ABBAZIA DI SANT'EUSTACHIO

Domenica 20 settembre dalle ore 11.00 - Abbazia di Sant'Eustachio, Nervesa della Battaglia (TV)

 

Sarà una domenica all'insegna della cultura e del benessere quella dell'Abbazia di Sant'Eustachio a Nervesa della Battaglia. Il 20 settembre lo storico complesso benedettino ospiterà infatti la presentazione del libro "Treviso meravigliosa" di Alessandro Comin e un nuovo appuntamento di Gong Abbey che celebrerà l'arrivo dell'autunno.

 

La giornata inizierà alle ore 11.00 nella Sala Conferenze dell'Abbazia, con un incontro letterario ad ingresso libero in cui verrà presentato "Treviso Meravigliosa", alla presenza dell'autore in dialogo con Paolo Zanatta, delegato alla Cultura del Comune di Nervesa della Battaglia. Un viaggio emozionale per le strade di Treviso, tra ricordi, sensazioni, storia e curiosità, alla ricerca delle chiavi della trevigianità e delle tante meraviglie, note o sconosciute, che la città sa offrire.  

 

Per gli amanti della spiritualità la giornata proseguirà con il ritorno di Gong Abbey, con l'incontro "Aspettando l'Equinozio d'Autunno" alle ore 18.00. Organizzato in collaborazione con l'associazione Evolution's Waves, sarà un'occasione per tutti i partecipanti di provare l'emozione del massaggio sonoro vibrazionale collettivo con campane tibetane e gong, nella pace e nella natura del Montello. Un'immersione totale nel suono che avvolgerà i partecipanti durante il rilassamento, guidati da un Maestro.

 

Informazioni:

-          "Treviso meravigliosa" di Alessandro Comin, Edizioni della Sera in vendita (€ 14)

-          Gong Abbey: solo su prenotazione, tel. 320 2696169

 

ALESSANDRO COMIN: Nato a Treviso nel 1963, giornalista dal 1981 e professionista dal 1989, ha lavorato per 35 anni al Gazzettino, del quale è stato prima cronista, poi capo delle redazioni di Treviso, Bassano del Grappa e Vicenza e infine caporedattore centrale al fascicolo nazionale nella sede di Mestre con la responsabilità dei settori Cronache, Nordest, Cultura e Spettacoli. Da Treviso è stato anche corrispondente dell'agenzia Ansa. Dal 2017 è al Giornale di Vicenza come responsabile dell'area del Bassanese e dell'Altopiano. Per i quotidiani del Gruppo Athesis, che comprende anche L'Arena di Verona e Bresciaoggi, scrive per le pagine di Cultura e Spettacoli ed è inviato alla Mostra del Cinema di Venezia.

 

Situata a Nervesa della Battaglia, l'antica Abbazia di Sant'Eustachio nasce come monastero benedettino nel 1062.  La sua lunga storia è segnata da momenti importanti, fra cui il soggiorno di Monsignor Della Casa che qui vi scrisse Il Galateo. Ridotta a rudere dai bombardamenti della Grande Guerra e completamente abbandonata, l'Abbazia è stata riaperta al pubblico grazie ad Ermenegildo Giusti, imprenditore italo-canadese, che ne ha finanziato l'ambizioso recupero e ha restituito questo patrimonio agli abitanti della cittadina.



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martedì 11 agosto 2020

Ferragosto nel segno dell'arte con i musei di Genus Bononiae. Musei nella città: il Polittico Griffoni a Palazzo Fava e "Women. Un Mondo in cambiamento" a Santa Maria della Vita


FERRAGOSTO NEL SEGNO DELL'ARTE CON I MUSEI DI GENUS BONONIAE
Restano aperte per tutta l'estate, compreso il giorno di Ferragosto, le sedi di Palazzo Fava con la mostra "La Riscoperta di un Capolavoro" dedicata al Polittico Griffoni e di Santa Maria della Vita dove prosegue "Women. Un mondo in cambiamento" con gli scatti dei grandi reporter del National Geographic
 
Bologna, 11 agosto 2020 – "Nell'estate che celebra il turismo italiano locale e la riscoperta delle bellezze nostrane, Genus Bononiae. Musei nella città di Bologna tiene aperte le porte delle sue sedi per consentire ai bolognesi di godere della bellezza di un'opera profondamente legata alla città, che ci auguriamo possa essere scoperta anche dai turisti che transiteranno per Bologna, approfittando dei ritmi più lenti e piacevoli dell'agosto urbano". Così Genus Bononiae, che terrà aperte due delle sue sedi – Palazzo Fava e Santa Maria della Vitaper tutta l'estate, compreso il giorno di Ferragosto.
 
Sabato 15 dalle ore 10.00 alle 20.30 a Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni di Bologna sarà possibile quindi visitare "La Riscoperta di un Capolavoro", la grande mostra che riporta a Bologna, a 500 anni dalla sua realizzazione e a 300 dalla sua dispersione, le tavole del Polittico Griffoni dei ferraresi Francesco del Cossa ed Ercole de' Roberti, che proprio a Bologna, con la maestosa pala d'altare realizzata tra il 1470 e il 1472 per l'omonima cappella nella Basilica di San Petronio, diedero avvio al loro straordinario sodalizio artistico. Al Piano Nobile l'esposizione delle tavole superstiti dell'opera, oggi di proprietà di 9 Musei internazionali - National Gallery di Londra, Pinacoteca di Brera di Milano, Louvre di Parigi, National Gallery of Art di Washington, Collezione Cagnola di Gazzada (Va), Musei Vaticani, Pinacoteca Nazionale di Ferrara, Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, Collezione Vittorio Cini di Venezia – che hanno concesso gli straordinari prestiti, insieme alla rimaterializzazione del Polittico Griffoni grazie alle tecnologie digitali di Factum Foundation, che ha ricostruito l'opera così come doveva apparire agli occhi dei bolognesi di fine Quattrocento.
In effetti, la sezione ospitata dal secondo piano, "La Materialità dell'Aura. Nuove Tecnologie per la Tutela" a cura di Adam Lowe, Guendalina Damone e il team della Fondazione, è di straordinario interesse. In essa viene mostrato, attraverso video, immagini e dimostrazioni con gli strumenti di scannerizzazione 3D progettati dalla stessa fondazione, l'operato di Factum e l'importanza che assumono le tecnologie digitali nella tutela, registrazione e condivisione del patrimonio culturale, proprio a partire dal lavoro svolto sulle tavole originali del Polittico.
 
Aperto dalle 10.00 alle 19.00 invece, sempre nella stessa giornata, l'Oratorio di Santa Maria della Vita che fino al 13 settembre ospita "Women. Un mondo in cambiamento", mostra fotografica a cura di National Geographic in collaborazione con Genus Bononiae e Fondazione Carisbo: un viaggio per immagini sulla condizione femminile che attraversa ogni latitudine e 100 anni di storia delle donne, viste dall'obiettivo dei – e delle – grandi reporter della National Geographic Society.  Articolata in 6 sezioni – Beauty/Bellezza, Joy/Gioia, Love/Amore, Wisdom/Saggezza, Strength/Forza, Hope/Speranza – "Women" raccoglie una selezione di immagini tratte dallo straordinario archivio del National Geographic, disegnando un viaggio attraverso un secolo di storia delle donne in tutti i continenti, con diverse prospettive e focalizzando l'attenzione sui problemi e le sfide di ieri, oggi e domani nei vari paesi ed epoche, tracciando una riflessione su passato, presente e futuro delle donne. Completa la mostra la sezione Portraits/Ritratti, scatti intimi e biografici di un gruppo iconico di attiviste, politiche, scienziate e celebrità intervistate da National Geographic per il numero speciale della rivista di novembre 2019 pubblicato ai tempi della prima donna alla direzione del National, Susan Goldberg: tra esse Nancy Pelosi, Oprah Winfrey, il Primo Ministro neozelandese Jacinda Ardern e la Senatrice a vita Liliana Segre. 


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venerdì 24 luglio 2020

In Maremma l'origine dell'esrpessione “Mal di contagio” per la peste manzoniana del 600 - studio Università di Pisa

In Maremma la peste (manzoniana) del Seicento era il "Mal di contagio": rinvenuta negli archivi la prima attestazione di questa espressione

La ricerca dell'italianista Marina Riccucci dell'Università di Pisa nell'archivio di Castelnuovo di Val di Cecina in uscita sulla rivista "Maritima". Il sindaco: borse di studio e iniziative per valorizzare la memoria storica del territorio  

La prima attestazione nota dell'espressione "Mal di contagio" riferita alla peste del Seicento, quella raccontata da Manzoni ne "I promessi sposi", si trova nell'archivio di Castelnuovo Val di Cecina, e precisamente nelle carte riguardanti Sasso Pisano. Il documento, contemporaneo allo scoppia dell'epidemia che colpì la Maremma nel 1631-2, anticipa di 150 anni l'origine dell'espressione sinora attribuita da lessici e vocabolari a Gaetano Fabbri e alla sua "Lezione intorno alla cagione e alla natura della peste" pubblicata a Firenze nel 1722. La scoperta di questa matrice maremmana del "Mal di contagio" arriva da uno studio dell'italianista Marina Riccucci dell'Università di Pisa in uscita sulla rivista "Maritima".
"E' interessante notare che Alessandro Manzoni chiama la peste ora propriamente peste, ora contagio, ora semplicemente male, mai 'mal di contagio' – racconta Marina Riccucci – tornando invece alle origini dell'espressione dopo il Fabbri, la seconda attestazione si trova nel trattato 'Aggrandimenti delle scienze fisiche accaduti in Toscana' del medico e naturalista fiorentino Giovanni Torgioni Tozzetti (1712-1783), nonno dell'omonimo Giovanni che avrebbe sposato la celebre Fanny amata da Giacomo Leopardi".
"Il trattato – continua Riccucci - vide le stampe nel 1780 e un fatto curioso è che il Torgioni Tozzetti soggiornò due volte a Castelnuovo Val di Cecina e nel suo Viaggi fatti in diverse parti della Toscana fece menzione proprio di Sasso Pisano".
Nel saggio intitolato "Qualche postilla in margine alla peste del 1630: 'spigolando' nei documenti d'archivio tra Piombino e Sasso Pisano", Marina Riccucci ricostruisce dunque il quadro storico-sociale della pandemia in Toscana focalizzando l'attenzione sulla determinata area periferica ed extraurbana.
La pandemia in Maremma arrivò dal nord: il 26 ottobre 1629 gli ufficiali di sanità di Firenze furono informati da Milano del rischio di peste; nel maggio del 1630 era già epidemia dichiarata nelle città più grandi del centro-nord, Bologna e Firenze incluse; nel novembre del 1630 la peste cominciò a diffondersi nelle campagne e nei piccoli borghi del contado toscano; nell'estate del 1631 Firenze era ormai sostanzialmente libera, ma il morbo, iniziò a infuriare a Lucca e a Pistoia e quindi, nell'autunno 1631, a sud, in Maremma.
Dalla storia locale Riccucci ricava così uno spaccato della grande storia nazionale, con il racconto di come una piccola comunità cercasse di vincere l'epidemia fra lazzaretti, cerusici, coloro cioè che materialmente si occupavano dei malati incidendo i bubboni, e medici che a dispetto del nome erano invece deputati a mansioni amministrative. La ricerca della professoressa Riccucci è stata infine possibile grazie ai volontari del GASP, il Gruppo Archeologico Sasso Pisano, che hanno materialmente e fisicamente scoperto l'archivio della peste.
"Il recupero e la valorizzazione della memoria e della storia del nostro territorio, anche attraverso la riscoperta delle carte d'archivio, è solo all'inizio – conclude Alberto Ferrini, sindaco di Castelnuovo di Val di Cecina – vogliamo infatti intraprendere una serie di interventi fra cui l'istituzione di borse di studio per giovani studiosi e da questo punto di vista il legame con l'Università di Pisa è certamente fondamentale".


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martedì 16 giugno 2020

Sculture en plein air a prova di Covid19. Riapre il Parco Beverly Pepper di Todi

Sculture en plein air a prova di Covid19

Riapre il Parco Beverly Pepper di Todi


Dopo i mesi di lockdown, l'esposizione permanente di grandi sculture dell'artista statunitense collocate nel Parco della Rocca della città umbra è di nuovo fruibile al pubblico. Un perfetto esempio di arte che dialoga con paesaggio e contesto urbano. Da poter godere senza problemi anche in tempi di distanziamento fisico

Todi, 16 giugno 2020 - Ferro, acciaio corten, inox, pietra. Sedici grandi sculture distribuite in due ettari. L'ideale per coniugare arte, cultura e nuove regole sul distanziamento fisico. Il Parco di Beverly Pepper è qualcosa di unico nel suo genere in Italia: un'immensa area verde, incastonata nel centro storico del borgo umbro di Todi, nella quale è stato costruito un percorso artistico-naturalistico, che permette ai visitatori di godere dell'interazione fra genio creativo, contesto urbano e panorami sul paesaggio circostante.

Il parco di sculture era stato inaugurato nell'autunno scorso ma ben presto l'emergenza coronavirus ne aveva imposto la chiusura. Ora riapre le porte al pubblico per quella che è a tutti gli effetti una rinascita. E le preoccupazioni che il rischio contagio impongono ai musei classici, in questo caso sono quasi inesistenti. "Una prova indiretta della lungimiranza di voler creare strumenti di fruizione artistica a cielo aperto" commenta Michele Ciribifera, presidente della Fondazione progetti Beverly Pepper "È quasi profetica la creazione di questo luogo che permette di immergersi nell'arte anche in questi momenti così particolari e delicati. Siamo certi che i cittadini di Todi e i turisti lo godranno con ancora più passione e consapevolezza, dopo le dure settimane che abbiamo lasciato alle spalle".

A ideare il Parco era stata la celebre artista statunitense, scomparsa il 5 febbraio scorso all'età di 97 anni. Dal 1972 Beverly Pepper aveva fatto di Todi la sua seconda patria, sede di vita e lavoro. Per questo ha voluto donare alla cittadinanza alcune delle sue opere. Lei personalmente ha costruito il percorso di visita e deciso dove collocare le sculture, dopo uno studio approfondito sulle visuali e sulla situazione orografica, fedele al concetto base della ricerca dell'artista: il rapporto tra opera d'arte e luogo di fruizione.

Un dono alla cittadinanza peraltro fruibile da tutti. Il parco infatti è ad accesso gratuito. È prevista una serie di visite guidate per scoprire i segreti del parco e dell'attività creativa dell'artista. Il programma partirà domenica 21 giugno, nell'ambito della Festa della Musica di Todi, con una visita guidata mattutina e una performance di Opera Lirica per soprano e basso dove lo scenario sarà la scultura "Exodus" in acciaio inox. Si prosegue il 27 e il 28 giugno con un weekend di visite guidate gratuite "All'Arte Aperta", una passeggiata panoramica tra natura, arte ambientale e scorci di medioevo in totale relax.

"Le visite – spiega Elisa Veschini, vicepresidente della Fondazione – verranno effettuate in piccoli gruppi sia per permettere la migliore fruizione delle opere e godere della loro interazione con il panorama circostante, sia per garantire il rispetto delle regole previste per la Fase 3 post emergenza coronavirus". Inoltre, per il mese di settembre, la Fondazione e il Comune di Todi hanno in serbo grandi sorprese, che vedranno celebrare l'artista statunitense attraverso le sue opere di Land Art, dislocate su territorio nazionale, in un dialogo tra le sculture monumentali e le arti performative, incluse ovviamente quelle del Parco di Todi.

La grande area verde nella quale si sviluppa il parco congiunge due importanti punti della città: il Tempio rinascimentale di Santa Maria della Consolazione e la chiesa di S.Fortunato, passando per la Rocca, punto più elevato del centro storico di Todi. Tra le opere esposte, alcune di quelle che più hanno contribuito a fare di Beverly Pepper una delle scultrici contemporanee più note in tutto il mondo. Come le due San Martino Altars (1993) e la riedizione delle Todi Columns, quattro sculture monumentali alte dagli 8 ai 12 metri, che nel 1979 erano state collocate al centro della tuderte Piazza del Popolo. La notizia aveva fatto il giro del mondo, tanto da essere poi esposte a Washington durante la conferenza internazionale di scultura (1980), al Brooklyn Museum of Art di New York nel 1987 e poi di nuovo in Italia alla Biennale di Venezia nel 1996 e a Firenze nel 1999. Nel parco trova posto anche una serie di panchine scultoree disegnate dalla stessa artista: lunette in pietra serena, collocate in punti di sosta precisi (i più panoramici). Un modo per rendere attivo il ruolo dei visitatori e di metterli in relazione con l'ambiente circostante.

"Le opere esposte in modo permanente nel Parco di Todi, prese nel loro insieme, offrono una panoramica dello sviluppo stilistico che solo pochi giardini e parchi dedicati alle sculture di un unico artista possono dare" spiega Joseph Antenucci Becherer, docente di Storia dell'Arte dell'università di Notre Dame e uno dei massimi esperti di giardini dedicati a singoli artisti. "La collezione e il parco danno il loro contributo a tutta quella serie di luoghi d'incontro esclusivi all'aperto, come quelli dedicati a Henry Moore e Barbara Hepworth in Inghilterra o a Isanu Noguchi in California, che consentono di riflettere in maniera profonda sugli scultori che lavorando negli spazi all'aria aperta. La donazione, questa collezione e il parco sono a dir poco storici. Essi arricchiscono l'Umbria con la presenza permanente dell'artista, ma, fatto ancora più importante, offrono al mondo un ambiente idilliaco, per apprezzare pienamente il percorso artistico di uno dei più intensi scultori dell'arte contemporanea. Dal punto di vista culturale, si tratta di un dono trasformazionale per la città e la regione intera. E il regalo di Beverly Pepper diventa, a sua volta, il dono di Todi al mondo".

sabato 13 giugno 2020

Debutta "DYLAN DOG. OLDBOY 1": una serie in cui ritrovare il Dylan Dog che è sempre stato e che ci ha fatti innamorare

Debutta in edicola il 13 giugno

DYLAN DOG. OLDBOY 1

Maxi Dylan Dog cambia pelle: si rinnova graficamente e diventa bimestrale, proponendo due storie inedite del classico Indagatore dell'Incubo

Una serie in cui ritrovare il Dylan Dog che è sempre stato e che ci ha fatti innamorare

 

Nel fumetto, come in altre forme narrative, è più importante preservare le caratteristiche base di un personaggio o sperimentare formalmente? E se invece a volte, come nel caso di Dylan Dog – un personaggio destinato a cambiare incessantemente pelle, muoversi in tutte le direzioni narrative possibili e immaginabili, senza assolutamente prescindere dalle sue peculiarità e dai suoi presupposti – le due cose potessero andare di pari passo?

 

È a partire da questa premessa che arriva in edicola, curata da Franco Busatta e con la supervisione di Tiziano Sclavi e Roberto Recchioni, la nuova serie Dylan Dog. Oldboy, che prende il testimone dal "vecchio" Maxi Dylan Dog Old Boy rinnovandosi completamente, a partire dalla veste grafica creata da Fabrizio Verrocchi.

 

Un luogo in cui ritrovare il Dylan Dog che è sempre stato e che ci ha fatti innamorare, dedicato però anche a chi dell'Indagatore dell'Incubo vuole leggere ogni storia.

 

Nell'editoriale che introduce l'albo, Roberto Recchioni, curatore della serie regolare, spiega: "Quando con Tiziano Sclavi abbiamo deciso di dare il via al rinnovamento dylaniato, uno dei primi punti sul nostro programma era quello di dare un'identità univoca a ogni pubblicazione editoriale della grande famiglia dell'Indagatore dell'Incubo (…). Oggi il Maxi Dylan Dog non esiste più e, al suo posto, nasce il Dylan Dog: Oldboy (scritto tutto attaccato). È più snello (due storie invece che tre), esce più spesso (bimestrale invece che quadrimestrale) e continua a essere molto conveniente. Una nuova formula che vi garantirà ben dodici storie all'anno per chi di Dylan non ne ha mai abbastanza, per quelli che cercano un "numero uno" per cominciare a leggerlo, e per i lettori che vogliono ritrovare il Dylan classico, quello concepito dal Tiz nel 1986".

 

Il debutto dell'albo n. 1 è fissato per il 13 giugno con due storie innovative e sorprendenti che hanno per protagonista il Dylan che esordì nel 1986. Due racconti firmati rispettivamente per i testi da Gabriella Contu e Barbara Baraldi e per i disegni da Montanari & Grassani. Le copertine sono invece opera dei Cestaro Bros.

 

Ne Il migliore dei mondi possibile, un vecchio Dylan, rinchiuso in prigione, ricorda il passato: una Londra smagliante e futuristica, dove tutti sono giovani, belli, perfetti. A un certo punto, però, l'Old Boy si rende conto che gli anziani sono completamente scomparsi. Ma perché tutti i londinesi indossano occhiali scuri? Cosa succederebbe se li togliessero?

 

La solitudine del serpente ci ricorda invece come certe vite scorrono via, fugaci come un colpo di rasoio. Lasciare un segno del proprio passaggio è un sogno per molti, ma diventa un incubo quando nelle strade di Londra si scatena la furia omicida di un killer invisibile, di cui nessun testimone sembra ricordare la faccia. Bloch coinvolge allora l'Inquilino di Craven Road in una delle sue indagini più paradossali…

  

DYLAN DOG

OLDBOY 1

 

Formato: 16x21 cm, b/n

Pagine: 192

Codice a barre: 977182645204500039

Copertina: Raul e Gianluca Cestaro

 

Il migliore dei mondi possibile

Soggetto e sceneggiatura: Gabriella Contu

Disegni: Montanari & Grassani

 

La solitudine del serpente

Soggetto e sceneggiatura: Barbara Baraldi

Disegni: Montanari & Grassani

 

Prezzo: 6,50 euro

 

Uscita: 13 giugno



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Covid-19: l'impegno civico degli italiani raccontato da Fondazione Italia Sociale

CIVIC ACTION: FONDAZIONE ITALIA SOCIALE RACCONTA L'IMPEGNO CIVICO DEGLI ITALIANI

Fino al 16 giugno associazioni, imprese e singoli cittadini possono aderire a Civic Action, l'iniziativa di Fondazione Italia Sociale, che raccoglie i migliori esempi, storie e progetti di valore civico e sociale che si sono sviluppati durante l'emergenza Covid-19, ma non solo  

A conclusione dell'iniziativa Fondazione Italiana Sociale realizzerà un e-book consultabile da tutti online

 

Milano – giugno 2020 – Scoprire, selezionare e far conoscere i migliori progetti di impegno civico che sono nati e si sono sviluppati anche in seguito all'emergenza legata al Covid-19, ma che potranno essere replicati e sviluppati anche nel "post-emergenza": è l'obiettivo di "Civic Action", l'iniziativa di Fondazione Italia Sociale, che intende raccogliere e raccontare le storie positive di associazioni, aziende e singoli cittadini, protagonisti di progetti dal valore civico e sociale.

 

Per partecipare bisogna accedere alla piattaforma digitale https://action.becivic.it/ entro le 23:00 del 16 giugno 2020 e condividere le proprie storie e iniziative. Civic Action, lanciata il 26 maggio scorso da Fondazione Italia Sociale, insieme a Onde Alte e Sky Tg24, è aperta a tutti, singoli cittadini, organizzazioni, associazioni, imprese senza limiti anagrafici, geografici o di alcun genere.

I progetti rientreranno all'interno di queste aree: arte e cultura, formazione scolastica, ambiente, governance, viaggi, solidarietà in azione, media e intrattenimento, economia e lavoro, salute e benessere.

 

A conclusione dell'iniziativa, Fondazione Italia Sociale realizzerà un e-book, disponibile per tutti online, che racchiuderà tutto il percorso della Civic Action, i profili dei protagonisti e le storie e buone pratiche più interessanti. Tra queste, 5 saranno selezionate per essere raccontate dai protagonisti in un incontro live su SkyTg24. 

 

Gianluca Salvatori, segretario generale di Fondazione Italia Sociale, osserva: "Con Civic vogliamo raccogliere esperienze che contribuiscono allo sviluppo di cultura civica nel nostro Paese. Non è un concorso e neppure un bando. Più semplicemente, un progetto culturale (o meglio il suo avvio) per far emergere storie di persone e organizzazioni impegnate concretamente a tenere vivo lo spirito civico nelle nostre comunità. Il tema è vasto e non intendiamo condizionare i partecipanti con una nostra definizione di civismo. Anzi, la raccolta di segnalazioni è un modo per aiutarci a comprendere che cosa oggi in Italia viene associato al termine "civismo". Dopo una lunga assenza, si torna a parlare di senso civico e crediamo utile riflettere sui significati e gli esempi in cui questo tema viene declinato. Ascoltando prima di tutto".

 

Civic Action è parte di "beCivic", progetto culturale multicanale promosso da Fondazione Italia Sociale, con lo scopo di dare un nuovo volto e entusiasmo all'impegno della società civile italiana per il bene comune. – instagram: @be_civic

 

 

Fondazione Italia Sociale è una fondazione di diritto privato, costituita con la legge di riforma del Terzo settore (legge 106/2016) e operativa da marzo 2018. È nata per favorire lo sviluppo del Terzo settore in Italia attraverso il sostegno a progetti nazionali diretti ad affrontare i problemi sociali di maggiore impatto, in particolare sulla vita delle persone più svantaggiate. Questa missione si basa sulla consapevolezza che le comunità con un alto livello di responsabilità civica e coesione sociale sono anche quelle con maggiori possibilità di svilupparsi economicamente e con le migliori opportunità occupazionali.

 

Fanno parte di Fondazione Italia Sociale: Aon Italia S.p.a., Artefice Srl, Banca Mediolanum S.p.A., BCG – The Boston Consulting Group S.p.A., Class Editori S.p.A., Comin & Partners, Deloitte Italy, S.p.A., Fondazione Adriano Olivetti, Fondazione Etica, Fondazione Noi-Legacoop Toscana, Gatti Pavesi Bianchi – Studio Legale Associato, Iccrea Banca S.p.A., Iccrea Banca, Intek Group Sp.A., Intesa Sanpaolo, Italiana Petroli S.p.A, Italo Nuovo Trasporto Viaggiatori S.p.A., KME Italy SpA, KPMG S.p.A., Lottomatica Holding S.r.l., LUISS, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali – Guido Carli, Pedersoli Studio Legale, Pirelli, Poste Italiane, Sec Newgate, Smemoranda Group, TBWA Italia, Unicredit Foundation.



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venerdì 22 maggio 2020

La Galleria Nazionale di Roma riapre in sicurezza grazie al semaforo comportamentale Safety Pois

Coronavirus fase 2 - social distancing

La Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma riapre le porte in sicurezza grazie al semaforo comportamentale

La segnaletica visiva a pavimento di Safety Pois indica in modo automatico ed efficace gli spostamenti che le persone possono seguire per mantenere la distanza di sicurezza da fermi e in movimento

 

Roma, maggio 2020 – Il 18 maggio ha sancito la progressiva riapertura dei luoghi dell'arte. Tra i primi c'è stata la Galleria Nazionale di Roma che ha scelto come partner Safety Pois per garantire la sicurezza dei propri visitatori.

 

L'idea consiste in un sistema di snodi segnalatori, brevettato dall'azienda italiana TCommunication, che, attraverso una segnaletica visiva a pavimento, indica in modo automatico ed efficace gli spostamenti che le persone possono seguire per mantenere la distanza di sicurezza da fermi e in movimento. I dispositivi di distanziamento sono stati installati sia sulla pavimentazione all'esterno che all'interno del palazzo per gestire in maniera ottimale il flusso contingentato dei visitatori.

 

Il semaforo comportamentale di Safety Pois attraversa ora tutte le aree aperte al pubblico della Galleria Nazionale e i pois brandizzati, di diametro di 40cm e di un colore compatibile con l'esposizione e con l'architettura del museo, applicati sul pavimento creano una griglia di distanze di sicurezza che mostrano con chiarezza l'azione consentita al pubblico, indicando gli spostamenti che le persone possono effettuare e i punti in cui attendere il proprio turno rispettando il distanziamento sociale.


La prestigiosa istituzione romana che custodisce la più completa collezione dedicata all'arte italiana e straniera dal XIX secolo a oggi, ha scelto il concept semplice e intuitivo di Safety Pois per restituire al pubblico la possibilità di vivere i suoi spazi e godere delle circa 20.000 opere che vi sono custodite, ora con le modalità provvisorie previste dalla situazione attuale.


La Galleria Nazionale, che si presenta al pubblico con una ricca offerta di mostre, ha attivato tutte le misure precauzionali utili per permettere ai visitatori di muoversi all'interno degli spazi museali in sicurezza (presidi sanitari necessari, informazioni sul codice di comportamento, personale preparato e servizi ripetuti di pulizia e sanificazione degli ambienti di servizio e delle superfici).

 

"Disegnare i nuovi confini senza tracciare linee ma costruendo punti di una rete che unisce i nostri passi e salvaguarda la nostra salute, ci guida a stare in sicurezza e a ristabilire le misure della socialità in questo momento così complesso. Idea folgorante quella di Safety Pois che unita a ars combinatoria, dimensioni variabili, gamma di colori e tipologia di materiali, ha risolto con la sobrietà necessaria e la massima funzionalità, flussi e percorsi all'interno della Galleria" afferma Cristiana Collu, Direttrice della Galleria Nazionale.

 

"Nei musei, il fattore distanza ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale: basilare saper definire i giusti spazi per offrire la migliore esperienza al visitatore e contemporaneamente tutelare le opere in esposizione. Safety Pois è orgogliosa di essersi messa al servizio di una delle più importanti istituzioni artistiche italiane offrendo uno strumento analogico anti-Covid di immediata lettura per tutti, che permetta a pubblico e staff della Galleria Nazionale di muoversi e far rivivere questi spazi ricchi d'arte e cultura nel pieno rispetto delle norme sanitarie" afferma Fabrizio Rametto, CEO di TCommunication e ideatore di Safety Pois.

 

Gli orari di apertura temporaneamente in vigore sono i seguenti: 9.00 – 19.00, ultimo ingresso 18.15.

La Biblioteca e l'Archivio Bioiconografico e Fondi Storici sono accessibili su prenotazione (laagallerianazionale.com).




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lunedì 11 maggio 2020

Biblioteche: nasce la Consulta nazionale della Rete delle Reti


Biblioteche: nasce la Consulta nazionale della Rete delle Reti

Ventisei sistemi bibliotecari e un'unica Rete di cooperazione
per un bacino di oltre sette milioni di cittadini

 

11 maggio 2020 - Mentre il mondo vive un periodo sospeso, nell'attesa di cogliere il presente e immaginare il futuro, le biblioteche di pubblica lettura continuano a lavorare a un comune progetto nazionale di cooperazione, definito non a caso Rete delle Reti (RdR). Ed è proprio grazie a questo ininterrotto lavorìo che il 5 maggio scorso, in un'Assemblea costitutiva on-line cui hanno partecipato oltre cinquanta delegati, si sono poste le fondamenta per una Consulta nazionale dei sistemi bibliotecari.

A poco più di sei mesi dalla presentazione della Rete delle Reti, infatti, sono già 26 i sistemi che vi hanno aderito. In totale un migliaio di biblioteche. Insieme dispongono di un patrimonio – cartaceo e digitale – di oltre dieci milioni di documenti. Dal nord al sud, sono 820 i Comuni rappresentati, sette le Regioni - Calabria, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana e Veneto - e un bacino di utenza di 7 milioni e 300mila abitanti.

Due gli organismi preposti alla governance: oltre alla Consulta, organismo di indirizzo politico - costituita da un rappresentante di ogni singolo Ente firmatario – opera anche il Comitato di coordinamento, affidatario dei compiti attuativi nel rispetto dei traguardi pianificati.

Si sta ora completando l'iter per la nomina dei vertici della Consulta, presidente e vicepresidente, e il consolidamento del coordinamento nazionale.

La sfida

Presentata nell'ottobre scorso, Rete delle Reti ha immediatamente dichiarato i suoi propositi con un Manifesto e un Protocollo d'intesa. Obiettivo principale, costruire un percorso cooperativo per mettere in comune, tra tutti gli enti aderenti, risorse creative, ideative, strumentali e informative in una logica mutualistica, nell'intento di accrescere la diffusione di servizi di pubblica lettura e favorire sinergie ed economie di scala.

Nell'obiettivo, la sfida: sostenere un nuovo format di biblioteca 5.0, condividendo un patrimonio di esperienze, accelerando la circolazione di idee, coabitando spazi di incontro anche virtuali per agevolare gli scambi culturali.  Sfida semplice nell'adozione, complessa e articolata nella gestione, in una realtà territoriale che già ora coinvolge oltre il 12% della popolazione italiana.

 

Il programma

La parola chiave, quindi, è cooperazione attraverso un network che solleciti quel salto di qualità che la biblioteca pubblica già conosce, aggiungendo nuove funzioni e offerte all'utente finale, e assumendo il ruolo di hub culturale di territorio che mette a disposizione non più semplici documenti ma servizi predisposti a misura della persona.

Tradotta in punti programmatici, cooperazione significa dare concretezza e supporto a iniziative vitali come la realizzazione di progetti di grandi dimensioni che travalicano anche i confini nazionali, la presentazione di appelli e istanze a importanti organismi istituzionali, il raggiungimento di significative economie di scala, irrinunciabili nella produzione di nuovi servizi a valore aggiunto e di offerte innovative alle comunità.

Operativamente significa supportare le biblioteche nel lavoro quotidiano, mettere a punto strumenti di consulenza amministrativa, giuridica, progettuale e tecnica, in una prospettiva di miglioramento complessivo.

 

Dall'emergenza i nuovi stimoli

Anche le esperienze accumulate in questo periodo di emergenza diventano preziose nella logica di una rinnovata e condivisa biblioteca pubblica. Pensiamo, ad esempio, alle recenti iniziative di potenziamento dell'offerta digitale e all'incremento del patrimonio documentale a disposizione on-line; all'avvio di contatti telefonici tra bibliotecari e utenti, per ascoltarne le emozioni, registrarne le aspettative e pianificare servizi personalizzati; alla creazione di piattaforme in grado di accogliere il contributo e le conoscenze di cittadini, che nella biblioteca si propongono come coach volontari per creare momenti di formazione e informazione mirati.

Un bagaglio di know-how in continuo arricchimento e da condividere.

 

Gli Enti di riferimento

Cooperazione significa soprattutto condivisione di contenuti. L'entità del progetto Rete delle Reti, in continua crescita ed evoluzione, suggerisce il confronto con Enti istituzionali che custodiscono nel proprio DNA concetti quali cultura, cooperazione, sussidiarietà, rappresentanza e gestione condivisa della cosa pubblica.

Per questo nell'agenda di RdR si sono già creati spazi di collaborazione a diversi livelli con enti nazionali di ampio respiro.

 

I sistemi della Rete delle Reti

Sistema Bibliotecario Lametino, Sistema Bibliotecario Vibonese, Consorzio Sistema Bibliotecario Castelli Romani, Sistema Bibliotecario Ceretano Sabatino, Sistema Bibliotecario Monti Prenestini, Sistema territoriale Biblioteche dei Monti Lepini, Provincia di Brescia, Sistema Bibliotecario Seriate Laghi (RBBG), Sistema Bibliotecario Valle Seriana (RBBG), Sistema Bibliotecario Lodigiano, SBNEM - Comune di Cologno Monzese, CSBNO – Culture Socialità Biblioteche Network Operativo, Sistema Bibliotecario Urbano Comune di Pavia, Sistema bibliotecario Consortile Panizzi, Sistema Bibliotecario Urbano Comune di Fano, Sistema Bibliotecario Urbano Comune di Torino, SBAM - Nord Est (Settimo Torinese), SBAM - Sud Ovest (Moncalieri), SBAM - Nord Ovest (Collegno), SBAM - Est (Chivasso), SBAM - Ovest (Beinasco), SBAM - Sud Est (Chieri), REDOP - Rete documentaria Provincia di Pistoia, Sistema Bibliotecario Provinciale Padovano, BAM (rete trevigiana) - Comune di Montebelluna, Rete Biblioteche Vicentine.



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domenica 26 aprile 2020

Ecco dove nasce il futuro. Un’indagine fotografa i Parchi scientifici e tecnologici italiani


APSTI

 


 

Una ricerca di Elena Prodi con APSTI descrive il network dei parchi scientifici e tecnologici italiani
Ecco dove nasce il futuro. Un'indagine fotografa i Parchi scientifici e tecnologici italiani

Un sistema variegato, multisettoriale, poliedrico, che rappresenta un unicum nello scenario internazionale. È il sistema dei parchi scientifici e tecnologici italiani la cui 'geografia' è stata studiata per la prima volta grazie all'indagine di Elena Prodi , ricercatrice del Dipartimento di Economia e Management, Università degli Studi di Ferrara e ADAPT Research Fellow, in collaborazione con l'Associazione Parchi Scientifici e Tecnologici Italiani realizzata in parallelo alla raccolta periodica di dati dai propri associati.  

"Primo questionario dinamico sui parchi scientifici e tecnologici italiani soci di APSTI" è il titolo della ricerca che ha visto la risposta di venti PST soci dell'associazione presieduta dal presidente Fabrizio Conicella. La mappa della ricerca ha coinvolto 6 parchi della Lombardia, 3 del Friuli Venezia Giulia e 1 parco per Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Toscana, Liguria, 1 del Trentino, 1 della Sardegna, 2 del Piemonte, 1 della Campania e il consorzio ART-ER dell'Emilia Romagna. Uno spaccato significativo di una realtà che, in totale, conta oltre 45 parchi diffusi in tutta la penisola.

"La ricerca – si legge nel documento – nasce cercando di capire quali sono le capacità progettuali dei parchi di mobilitare e coordinare risorse, di entrare in relazione con i mercati del lavoro locali, nonché di interagire dentro a un più ampio contesto nazionale"

La mission dei PST. Tra le mission indicate dai parchi il 95 per cento si trova concorde nel "favorire la collaborazione tra grandi e medie imprese e piccole imprese innovative (start-up, spin off)" seguita, con più dell'86 per cento di risposte, dal "trasferimento delle conoscenze scientifiche e tecnologiche da enti di ricerca pubblici e privati verso il sistema delle imprese del territorio". Il 76 per cento degli intervistati ha indicato come mission "trasferire le conoscenze scientifiche e tecnologiche dall'università verso il sistema delle imprese del territorio". 14 parchi su 20, inoltre, hanno dichiarato che il senso della loro presenza nel territorio di riferimento è anche legato alla creazione di nuove imprese ad alto contenuto tecnologico e far crescere, di conseguenza l'occupazione".

Dimensioni e occupazione nei parchi. È molto diversificato il parametro che indica il numero di impiegati per ogni parco e le dimensioni di professionisti che lavorano all'interno dei PST. Il personale delle varie società che gestiscono il parco varia molto da realtà a realtà. Un terzo dei parchi hanno tra 1 e 10 impiegati, 9 parchi impiegano uno staff che oscilla tra le 12 e 45 unità, mentre 4 parchi possiedono uno staff che varia dalle 90 fino alle 200 unità. Per quanto riguarda il numero di lavoratori delle aziende presenti all'interno dei parchi si va da un nucleo minimo di 5-10 persone a oltre 500. La maggior parte dei pst si attesta, circa la metà, si attesta su un numero che va dalle 250 alle 750 unità.

Un dialogo costante tra parchi e scuola, università, enti di ricerca. Una delle caratteristiche comuni a tutti i pst è lo stretto dialogo con istituti scolastici, università, enti di ricerca pubblici e privati. Oltre il 65 per cento degli intervistati spiega di avere all'interno del parco laboratori ed enti di ricerca. Il 47 per cento ospita enti di ricerca accademici mentre il 52 per cento di essi accoglie spin off universitari. Ma questo rapporto va al di là della presenza fisica nel parco e si sviluppo attraverso iniziative, scambio di informazioni, attività che sono alcuni degli elementi di vitalità che si esprimono concretamente grazie alla presenza dei parchi nel territorio.   

La filiera della formazione passa dai parchi scientifici. L'indagine di Prodi svela che i parchi scientifici interagiscono con le università e la filiera formativa in senso ampio per attrarre giovani studenti e lavoratori di talento verso il parco e le aziende in esso insediate.  3 parchi su 15 ospitano dei corsi di laurea, mentre il 66 per cento di essi sostengono che "i dipendenti e i collaboratori delle imprese e delle start-up/spin-off localizzati nel parco ricoprono anche il ruolo di docenti presso Università del territorio, ma non solo". In 7 casi su 20 "il direttore o il personale impiegato presso la società di gestione del parco a ricopre incarichi di ricerca e /o docenza presso un'Università". Ci sono poi 7 parchi coinvolti all'interno di una o più fondazioni ITS del territorio. L'86 per cento dei pst, inoltre, ospita attività di alternanza scuola-lavoro a beneficio dei giovani dei licei e degli istituti delle scuole superiori.

Le relazioni collaborative con i dipartimenti universitari. Le collaborazioni più frequenti avvengono con dipartimenti di ingegneria industriale, ingegneria elettrica ed elettronica, ma anche civile e ambientale. Seguono le collaborazioni con i dipartimenti di chimica e scienze del farmaco e quelle con i dipartimenti di scienze economiche, commerciali e statistiche e quelle con i dipartimenti di matematica e informatica. Ci sono poi le aree vocate a settori specifici, come le biotecnologie, le scienze biomediche, le scienze della salute che si concentrano soprattutto in Toscana e nel canavese, dove sono localizzati due importanti poli sulle life sciences. 16 parchi su 20 sostengono di essere multisettoriali, ossia di non concentrarsi su uno specifico settore o tecnologia.

Le specializzazioni. Al primo posto tutte le specializzazioni riconducibili sotto al più ampio cappello dell'ambito medico-farmaceutico e delle scienze della vita. Si tratta peraltro di una area piuttosto specialistica e concentrata in alcuni parchi scientifici e tecnologici italiani e non è invece distribuita più omogeneamente e in maniera diffusa come il settore dell'ICT che si colloca sempre ai vertici delle specializzazioni dei parchi. Come pure il settore terziario in senso lato, dunque comprensivo del turismo, i servizi e le imprese creative e culturali. Seguono gli ambiti della meccatronica e delle nanotecnologie, e, le aree legate ad ambiente e green technology, alimentare, chimica, energia ed edilizia.

Un network globale. Il network dell'innovazione dei PST supera i confini nazionali e si allarga al mondo. Le maggiori collaborazioni con la filiera formativa e della ricerca mondiale sono, tra i Paesi europei, con Francia, Belgio, Germania, ma anche e i Paesi dell'area centro-est europea per i parchi dell'area friulana, mentre tra i Paesi extraeuropei, Cina e Stati Uniti ma anche Cile, Brasile, Paraguay.

Parola d'ordine: migliorarsi. Uno dei fili conduttori che unisce tutti i pst coinvolti nell'indagine è la tendenza a migliorarsi su più fronti: su quello tecnologico, nelle relazioni con i soggetti insediati, nella tipologia dei servizi offerti, nelle relazioni con il mondo delle imprese e della ricerca. Un sistema in evoluzione, anche attraverso la collaborazione con APSTI, cerca un ruolo strategico nello scacchiere internazionale della rete dei parchi scientifici e tecnologici italiani.

"Non ci sono dubbi – afferma Prodi - che il lavoro produzione di nuova conoscenza realizzato dai parchi scientifici e tecnologici e dagli attori della ricerca rappresenti il cuore dei moderni modelli di produzione e sviluppo dei territori. L'obiettivo a tendere dell'indagine condotta è offrire uno sguardo di prospettiva rispetto alle attuali dinamiche e relazioni che governano una rete di soggetti variegata ed eterogenea per compiti e funzioni. Operativamente, l'intento è consentire alla rete dei parchi di farsi comunità, condividendo risorse, problematiche, buone pratiche e progettualità, nonché di coordinare maggiormente le proprie iniziative, generando ricadute positive sui territori di riferimento.

 

"Ogni azione – sottolinea Fabrizio Conicella, presidente di APSTI - si deve basare sulla conoscenza. L'obiettivo della nostra analisi, ed altre sono in corso, era oggettivare una situazione risultato di anni di attività dei diversi Parchi Scientifici parte di APSTI. Passare dalla frammentazione ad una visione di sistema che consentisse di apprezzare non solo il singolo elemento ma il ruolo e l'importanza dell'insieme. Questo abbiamo cercato di fare. Identificare gli elementi comuni in modo oggettivo e le aree di miglioramento. Comprendere quale ruolo i Parchi Scientifici abbiano ricoperto e ricoprano oggi come primo passo per impostare la crescita futura. Anche in un mondo diverso rispetto a pochi mesi fa, sempre più complesso e competitivo possiamo e dobbiamo contribuire alla crescita ottemperando alla nostra missione"

 

 

 

 

 

 

 

 

APSTI, network italiano dei Parchi Scientifici e Tecnologici, è nato per promuovere lo sviluppo imprenditoriale e la competitività del Paese attraverso l'innovazione. Un ecosistema impegnato ad avviare percorsi di sviluppo, accelerazione, crescita e posizionamento sul mercato per le imprese, le PMI innovative e le startup e per offrire servizi a Università e strutture di ricerca, accelerando i processi di trasferimento tecnologico sul mercato sotto forma di nuovi prodotti, processi e servizi.

 

 



[1]Dipartimento di Economia e Management, Università degli Studi di Ferrara e ADAPT Research Fellow.

Elena Prodi è ricercatrice presso il "Centro Interuniversitario di economia applicata alle politiche per l'industria, lo sviluppo locale e l'internazionalizzazione" (c.MET-05) ed EmiliaLab – La rete dei dipartimenti di Economia delle università dell'Emilia-Romagna.



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giovedì 9 aprile 2020

Abandonalism, il fascino di luoghi e oggetti dimenticati diventa un fenomeno di tendenza mondiale e contagia i social

ABANDONALISM, IL FASCINO DI LUOGHI E OGGETTI DIMENTICATI DIVENTA UN FENOMENO DI TENDENZA E CONQUISTA I SOCIAL

Teatri invasi da erbacce che si trasformano in set per sfilate, ex fabbriche e città fantasma come mete turistiche, lamiere corrose che ispirano i designer e chef che riscoprono sapori dimenticati: la passione per luoghi e oggetti abbandonati ammalia le star, coinvolge il design, la moda, il turismo e non risparmia i social dove l'hashtag #abandoned colleziona 7,2 milioni di post.

 

"C'è bellezza ovunque, ma non tutti sanno vederla": mai come quest'anno una delle massime di Confucio più citate sembra essere così attuale. All'alba del nuovo decennio ispirazione fa rima con abbandono, si consolida il trend dell'Abandonalism che coinvolge architetti, designer, star, artisti e non solo, portati ad ascoltare le storie che oggetti e luoghi dimenticati hanno da raccontare. Una tendenza iniziata, secondo la CNN, nel 2014 con la mostra Ruin Lust andata in scena alla Tate Gallery di Londra e che oggi contagia diversi settori, persino quello turistico. Come riporta The Washington Post, infatti, dal Canada alla Germania, uno dei must del momento è concedersi una visita in una fabbrica abbandonata e, d'accordo con il magazine Time, crescono esponenzialmente anche le vacanze con destinazione Chernobyl. La passione per i luoghi in rovina colpisce anche il popolo dei social dove l'account Instagram Beautiful Abandoned Places, che ritrae meravigliosi luoghi abbandonati, è seguito da ben 1,6 milioni follower tra i quali spiccano Chiara Ferragni, Steve McCurry, Giorgia Palmas e Lexie Limitless, la persona più giovane ad aver visitato ogni Paese del mondo. Inoltre, l'hashtag #abandoned conta addirittura 7,2 milioni di post, mentre #ruins e #abandonedplaces collezionano rispettivamente 3 e 3,7 milioni di post. Svariati anche i canali YouTube consacrati a questo tema come Exploring with Josh che raggiunge quota 3,85 milioni di iscritti e The Proper People che sfiora i 900mila. Neppure moda, ristorazione e matrimoni sono immuni al misterioso fascino dell'abbandono, con sfilate, cene e ricevimenti che prendono vita in luoghi sottratti all'oblio e strappati al declino. È quanto emerge da uno studio condotto da Espresso Communication per Galleria Battilossi su oltre 30 testate internazionali dedicate a lifestyle e tendenze nei campi della moda, del food, dell'arredamento e dell'arte. Un trend al quale si ispirano anche designer come Maurizio Battilossi, fondatore della Galleria Battilossi: "Alla base del mio lavoro c'è l'idea che la sublime raffinatezza non stia soltanto nella perfezione, ma che possa essere trovata anche in oggetti semplici che mostrano i segni del tempo, come una lamiera corrosa. I disegni astratti della nostra linea di tappeti Eclectica, ad esempio, si ispirano a superfici artificiali che si incontrano nella quotidianità. Credo che per disegnare un tappeto contemporaneo, in grado di esaltare interni ricercati e reinventare lo spazio che lo circonda, sia fondamentale muoversi sul sottile confine fra passato e futuro e che nulla, come un oggetto abbandonato, preda del tempo e in continua trasformazione, racchiuda questo concetto".

 

Ma a cosa si deve questa ammirazione per luoghi e manufatti abbandonati? Come spiega la BBC, davanti a un luogo in rovina si genera un misto di paura e nostalgia, ma anche un brivido d'eccitazione. Secondo Sonia Paone, docente di sociologia urbana all'Università di Pisa: "Le rovine hanno sempre avuto un fascino perché alludono alla transitorietà dell'opera umana, all'inesorabile trascorrere del tempo, alla caducità delle cose. Oggi la tragicità cosmica di una natura che potrebbe riprendere il sopravvento fa sì che le rovine del tempo presente siano fonte di ispirazione". Ed è così che tanti disegnatori scelgono come punto di partenza per le proprie creazioni il ferro arrugginito o altri oggetti considerati di scarto. Lavori che danno vita a interni rustrial, una sintesi dello stile industriale e di quello rustico, spiega Newshub, simile a quello degli appartamenti newyorkesi caratterizzati dall'utilizzo di mattoni a vista e ferro. Per le mura di casa spazio anche al cemento, lasciato rigorosamente grezzo, ma in chiave green: come racconta The Telegraph, infatti, è disponibile un nuovissimo tipo di questo materiale più sostenibile, realizzato con un misto di sabbia e batteri.

 

Anche nel mondo della moda, i brand si lasciano ispirare sempre più spesso da location abbandonate o ex aree industriali utilizzandole come set per le sfilate: teatri ricoperti di graffiti ormai infestati da erbacce come racconta Harper's Bazaar, fabbriche di panettoni, garage di edifici residenziali e persino aeroporti come riporta il francese Le Figaro, fanno da palcoscenico alle ultime collezioni d'alta moda da Milano a New York. I luoghi abbandonati non sono solamente set utilizzati qualche giorno e poi lasciati nuovamente al loro destino, ma anche una solida base per progettare e inventare nuovi spazi a misura d'uomo: ne sono un esempio la newyorkese High Line, una ferrovia sopraelevata in disuso dagli anni '80 diventata poi un parco lineare come spiega NBC o il tratto di binari che univa le città francesi di Rosheim e Saint Nabor, trasformato in un cammino lungo 11 chilometri che permette di riscoprire paesaggi dimenticati e lasciarsi sorprendere da nuovi punti di vista. Altri esempi sono edifici come la Tate Modern o la Fondazione Prada dove la nuova destinazione d'uso e il passato dell'edificio sono strettamente legati e trasportano i visitatori in un luogo unico e fuori dal tempo. Persino i matrimoni non sono esenti da questa "febbre del vissuto" come racconta il Daily Mail, secondo il quale uno dei trend più in voga nel settore sarebbe l'urban wedding che si contraddistingue soprattutto per la scelta di location come magazzini in disuso o vecchi granai.

 

E sulla tavola, come si traduce questa passione per l'abbandono? Come spiega The Guardian, riappropriandosi di sapori dimenticati come quello della frutta matura al punto giusto, preferendo quella coltivata nel proprio orto, rispettando i ritmi della natura, a quella in vendita sugli scaffali dei supermercati. La riscoperta di antichi sapori è stata al centro anche della kermesse culinaria Madrid Fusión dove, riporta il quotidiano spagnolo El Español, gli chef hanno riaffermato l'importanza di ritrovare la semplicità nei piatti tradizionali, lasciando per un po' da parte le complesse tecniche della nouvelle cuisine. In linea con questo trend ci sono poi i ristoranti che sorgono all'interno di ex lavanderie, cristallerie e persino in complessi industriali. Ovviamente nemmeno l'arte contemporanea poteva sottrarsi al fascino dell'abbandono con opere che dialogano con lo spettatore conferendo una nuova connotazione agli oggetti abbandonati. È il caso, come riporta Montreal Gazette, del collettivo canadese Garbage Beauty che trasforma gli oggetti abbandonati per strada: un'asse di legno gettata al fianco di vassoi di plastica, ad esempio, grazie alla scritta "la table est mise" (la tavola è apparecchiata) diventa, sin dal primo sguardo, un tavolo sul quale qualcuno ha appena mangiato. Significativo anche il lavoro dell'artista Jane Perkins che utilizza rifiuti per dare vita a celebri opere come Ragazza col turbante o Notte stellata.



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