FRANCESCO VARESANO
IL SEGNO E LA PAROLA
dal 27 GENNAIO al 5 FEBBRAIO 2011
Inaugurazione: giovedì 27 gennaio alle ore 18,00
MASSENZIO ARTE
via del Commercio, 12 Roma
Collegamenti: metro B fermata Piramide
La mostra di FRANCESCO VARESANO si inquadra nel progetto del XIII Premio Massenzio Arte come riconoscimento al primo classificato
"…ciò che è impronunciabile ed invisibile si traduce nel finito del simbolo e delle forme note, per questo chi lo produce è un artista ed un comunicatore: Varesano è un artista e un comunicatore; e cos'è l'arte, se non comunicazione?" (Alessandro D'Ercole)
Direzione artistica: Alessandro D'Ercole
Organizzazione: Massenzio Arte
Ufficio stampa mostra: Associazione Massenzio Arte – Associazione Incontri e Eventi
Info: massenzioarte@yahoo.it - Tel. 0683086162- 3289232342
Orario di visita: dal lunedì al sabato ore 17-20, festivi esclusi Ingresso libero
Il segno e la parola
Quando Umberto Eco crea la sua semiotica personale, giocando tra la linguistica e la semiotica tradizionale, distinguendone sillabe e termini in una catena continua di rimandi e rinvii, compie una creazione artistica che non uccide la semantica, come qualcuno vorrebbe far credere, ma ne da un valore aggiunto arricchendola di contenuti. Quei contenuti non hanno rilevanza scientifica "tout court", ma attengono ad un completamento della emozione legata alla parola.
Il linguaggio non esiste in questa dimensione, perché la parola non costituisce un mezzo di comunicazione diretto, piuttosto è l'intenzione dello scrittore artista che fa la comunicazione.
Allo stesso modo, e direi con un risultato immediatamente percepibile attraverso l'emozione cui facevo riferimento, Francesco Varesano disegna e frantuma parole, concetti , frammenti di frasi, e costruisce opere che a mio avviso hanno tutte lo stesso sottotitolo o almeno lo stesso messaggio: Babele, ovvero la confusione dei linguaggi e l'impossibilità di comunicare attraverso la parola.
Francesco assume, così, che la parola non è sufficiente per rendere appieno quel che si vorrebbe dire e che non si può colorare e chiarire una frase se non attraverso una emozione.
I titoli delle sue opere sono da soli una dichiarazione d'intenti ed un palinsesto completo. "Prologo- epilogo", " quello che non so dire", "precarietà del dialogo, e soprattutto "R-esistere" e "in silenzio".Si vede bene come ogni titolo contenga il sovraesposto concetto già totalmente espresso, e comunque trasformato, arricchito di un ulteriore elemento di decifrazione. La mano dell'artista, il suo lavorare la materia come se fosse dialogo con il soggetto osservante, completa e rende vera, genuina, la comunicazione.
Ricordo la spiegazione che Filiberto Menna dava circa la installazione di J. Kosuth, dal titolo"una e tre sedie. L'installazione era costituita da una sedia vera, unita alla quale vi era un disegno della sedia stessa, e la parola sedia. Secondo il Menna la ragion d'essere dell'opera andava cercata in una comunicazione; l'artista intendeva avvertire che la parola che identifica l'oggetto non si fonda su di una relazione immediata tra l'immagine, il segno che l'identifica e l'oggetto stesso, ma su un insieme di modifiche che il segno assume in segno analogo o se vogliamo allegorico o simbolico. E' lo stesso procedimento logico di Magritte, che disegnava una cosa ed avvertiva contemporaneamente che quell'immagine non rappresentava la cosa in sé, ma una semplice informazione data all'osservatore.
Il procedimento di Francesco Varesano è a mio avviso identico. Francesco vuole superare l'accettazione imposta della parola, e ribadire attraverso una serie di lettere e vocaboli, lingue diverse, lettere anche sconosciute all'osservatore, che in ogni cultura i valori possono variare, stando alle parole ed alle frasi fatte; ma in realtà nella struttura intima delle stesse, che l'opera richiama e traduce, esiste in quei valori appartenenti a genti e culture diverse una convergenza e validità universale. Questo concetto è perfettamente reso dall'opera " in silenzio", che parla e dichiara, come nessuna frase o concetto verbalmente espresso potrebbe dichiarare, l'identità di un sentire comune. E' noto che il silenzio urla più di qualunque suono. Ed io sono convinto che Francesco lavori nel silenzio, ricco soltanto del suo sentire e del suo mondo onirico e fantastico. Con la precisione e la manualità di coloro che traspongono amore nella materia, e che secondo la tradizione di Ettore Colla parlano con cuore e mani, prima che con la voce, questo artista segue da sempre un suo percorso, senza smarrirsi in vie più comode e senza nulla concedere al superfluo. Non esiste alcun elemento ridondante nei lavori di Varesano: ogni cosa ha un suo perché ed una conseguenza logica, consequenziale con i lavori successivi. Le sue tempere del 1992 sono ancora, ed a maggior ragione, stante la propedeuticità del percorso artistico, perfettamente riconoscibili e vincolati a quelli della più recente ricerca. E questo elemento di valutazione è importante per sostenere la validità di un tale percorso.
Se per Schelling e per Heidegger l'artista è un vate, attraverso il quale ciò che è impronunciabile ed invisibile si traduce nel finito del simbolo e delle forme note, si può dire che Varesano è un artista ed un comunicatore: e cos'è l'arte, se non comunicazione?
Alessandro D'Ercole
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