Il waterboarding,    com'è normalmente descritto, prevede che la    persona sia legata ad un'asse inclinata, con i piedi in    alto e la testa in basso. Coloro che svolgono    l'interrogatorio bloccano le braccia e le gambe alla    persona in modo che non possa assolutamente muoversi, e le    coprono la faccia. In alcune descrizioni, la persona    è imbavagliata e qualche tipo di tessuto ne copre il    naso e la bocca; in altre, la faccia è avvolta nel    cellophane. A questo punto, colui che svolge    l'interrogatorio a più riprese vuota    dell'acqua sulla faccia della persona. A seconda del    tipo di preparazione, l'acqua può entrare    effettivamente nelle vie aeree oppure no; l'esperienza    fisica di trovarsi sotto un'onda d'acqua sembra    essere secondaria rispetto all'effetto psicologico. La    mente crede di stare per affogare. 
        	 
        	 
        	Una ragazza nuda s'intravede appena sott'acqua.    Una immagine a colori, scura e sfocata, che però ci    fa vedere con chiarezza un bel corpo giovane e sensuale col    segno chiaro sulla pelle lasciato dall'abbronzatura in    corrispondenza degli slip. Come l'Ofelia protagonista    dell'Amleto di Shakespeare, così ben    raffigurata dal pittore preraffaellita britannico John    Everett Millais, la ragazza giace immobile come morta appena    sotto la superficie trasparente e vibrante    dell'acqua. 
        	 
        	Questa ed altre analoghe immagini di nudi femminili    sommersi dall'acqua in un gioco mortale e sensuale di    Waterbording, sono le gigantografie stampate su tela che    costituiscono il nucleo centrale della mostra che la    galleria Allegretti dedica all'artista romano Claudio    Pieroni, da sabato 10 novembre al 25 dicembre.
        	 
        	Il titolo, Waterboarding, evoca senza giri di parole quella    crudele pratica di tortura che versando acqua sul volto di    un "condannato" messo a testa in giù, lo    porta in brevissimo tempo al limite dell'annegamento.    Prassi che nelle giuste dosi può essere anche un    gioco di erotismo estremo. Da qui l'ambiguità    di queste ragazze nude che sembrano morte, ma potrebbero    anche solo galleggiare appena sotto il pelo dell'acqua    di una vasca o piscina.
        	 
        	L'opera però non finisce qui, perché    l'immagine è stampata su una grande tela    esposta inclinata sopra una enorme cornice di legno bianco,    che diventa essa stessa installazione ambientale, come una    macchina celibe alla Duchamp. 
        	 
        	Tanto più se aggirando quell'ostacolo    scopriamo sul retro e sul recto della tela, strani disegni    neri, figure ossessive, tracciate a china, quasi    inconsciamente, da Pieroni in momenti di pausa, mentre    è seduto al bar o al ristorante. Strane creature    informi, irte di aculei, come cactus zoomorfi, che sembrano    incubi ancestrali resi visibili dalla mano che scorre    frenetica in un automatismo psichico, libero e    liberatorio. 
        	 
        	Inoltre, alle cornici Pieroni appende i più svariati    oggetti, dai colatoi per la pasta a alle stoviglie    d'alluminio dismesse acquistate al Balòn. Il    mercato dei robivecchi di Torino, nella città e nel    quartiere dove questo artista
        	romano si è trasferito a vivere, lavorare e a    insegnare come docente di Pittura all'Accademia    Albertina di Belle Arti di Torino (Istituto di Alta Cultura    dove attualmente ha anche il ruolo di vicedirettore).
        	A chi gli chiede perché ha scelto di fermarsi a    Torino, lui, che dopo aver studiato all'Accademia di    Belle Arti di Roma, ha girato il mondo e ha lavorato e    insegnato in tante altre Accademie d'Italia, risponde    senza tentennamenti: "perché Torino è la    Capitale d'Italia dell'arte    contemporanea". Poi ci ricorda di aver vissuto a    Torino già negli anni ottanta, frequentando e    diventando amico di artisti come Mario e Marisa Merz. Pur    senza essere, né tantomeno voler essere, un emulo o    un epigono del Poverismo, Pieroni ha elaborato una sua ben    precisa linea post-concettuale, in parte ispirata al suo    vissuto nomade, ma in parte intellettualmente connotata    dalla volontà di far dialogare arte e scienza. Come    ben constatiamo, ad esempio, in altri suoi lavori recenti    costruiti utilizzando vecchi meccanismi di orologio,    cavalletti da fotografo e svariati objets trouvee. Un    po' post-dadaista, un po' neo-costruttivista,    Pieroni è angosciato e affascinato da tutto    ciò che è estremo e border line. Ama gli    artisti per eccesso come Leonardo, Caravaggio e Gino De    Dominicis.
        	 
        	Tanto con i suoi migliori studenti dell'Accademia    Albertina ha costituito un attivissimo sodalizio di lavoro    denominato Gruppo Radici, e insieme a loro sta lavorando    ormai da un anno all'interno del Carcere Minorile di    Torino Ferrante Aporti, perché è convinto che    l'Arte è "l'unico strumento che    risparmia gli Uomini dal destino".  
        	 
        	Guido Curto
        	 
    
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