Anche quest’anno non potevo mancare all'appuntamento più importante per tutti coloro che amano il vino dalla A alla Z: la vendemmia. La raccolta dei grappoli è il momento più importante, perché tanto atteso, ma già penso al giorno in cui questi grappoli finiranno in un bel calice sotto forme di nettare: il mio vino, il nebbiolo, il nettare degli Dei che si presenta con il suo caratteristico colore rosso rubino, più o meno carico, ma sempre con i suoi riflessi granata, che giorno dopo giorno crescono con l'invecchiamento. Eccolo con il suo profumo delicato che mi riporta alla mente la viola e la confettura di frutti rossi.
Lo vedo con i miei occhi (a dir la verità assonnati ma pieni di entusiasmo e voglia di gustare i colori) che questo raccolto promette bene, in giro se ne parla tra i viticoltori, anche se la scaramanzia e la voglia di vendemmia rende ognuno avvolto nei propri pensieri. Del resto, questi vitigni hanno il ciclo vegetativo più lungo: sono sempre i primi a germogliare all’inizio della primavera, sono i primi a salutare il risveglio della natura, ma poi sono gli ultimi a portare a maturazione i grappoli verso la metà di ottobre, per poi lasciar cadere le foglie e salutare l'inverno a novembre.
Ma una domanda la faccio al Valerio: hai portato una bottiglia dello scorso anno per rendere la giornata meno pesante? Via, si parte e una cassa dopo l'altra si riempie di colore viola, poi avanti con un altro contenitore, passando da un filare all'altro, spostando i miei piedi tra questa terra che il sole comincia a baciare e riscaldare. I filari si denudano, i grappoli riempiono le casse, la fatica e il primo sudore si fanno sentire, ma l'emozione è tanta. Verso le 10 un primo giro di salame e un bicchiere di vino che ha portato Angela. Un primo fringuello inizia a canticchiare, ma no è Giancarlo che fischietta dopo il quarto cesto pieno e coinvolge tutti con Ligabue. Ma si questa è l'amicizia, questo è lo spirito che ci deve accompagnare in questi giorni di raccolta, la spensieratezza e la voglia di esserci, di poter raccontare alla sera la nostra stanchezza, le mani e i piedi gonfi, stanchi di stare tra le terre argillose di queste colline magiche, le emozioni di toccare quello che poi sarà il nostro vino, il nostro compagno di giornate e serate davanti al camino a gustare un po' dei nostri formaggi.
Ma, poi, per la testa mi passa la domanda del secolo: ma perché si chiama Nebbiolo? La esprimo ad alta voce ma in modo discreto per non turbare questi grappoli e i filari ancora da “mungere”, ed ecco una risposta del Mario: si dice dai tempi dei nostri bisnonni che un monaco, che coltivava un piccolo orto e una piccola vigna, un mattino li trovò naturalmente avvolti da una fitta nebbia, che solo La Darbia ci sa regalare in certe giornate d'autunno e d'inverno. Subito pensò che il Signore lo volesse premiare per la sua passione e devozione e per ringraziarlo iniziò a pregare. Quando poi arrivò il periodo della vendemmia, la nebbia si alzò come di incanto e scomparve tra i raggi del sole, lasciando sui grappoli maturi una sostanza cerosa, la pruina, che li faceva brillare come diamanti.
Che poi ora che ci penso non vi ho ancora detto che il vitigno non è il mio, ma di Giancarlo e Matteo che lo hanno ereditato. Lo so, me ne faccio una ragione come ogni anno che passa, ma la verità è che queste colline sanno come rapire una persona, regalano doni ed emozioni che sento dentro me e che porto dentro giorno dopo giorno. O forse bicchiere dopo bicchiere. In alto i calici, nasce il Nebbiolo!
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