Il 12 luglio 1979 veniva uccisa ufficialmente la disco music. Un omicidio premeditato e particolarmente cruento, efferato come solo i crimini d' odio sanno essere.
Death the disco. Un gruppo di deejay rock organizzò Disco Demolition Night, una manifestazione anti-disco al Comiskey Park di Chicago, un importante stadio di baseball. Mentre la folla inferocita urlava all'unisono "Disco sucks", migliaia di album e 45 giri disco music venivano distrutti e dati alle fiamme.
Lovett/Codagnone presentano in quest'ultima personale DEATH DISKO: last dance, un'interessante riflessione sulla fine della disco music, sulla fine di un'epoca caratterizzata da un inteso movimento nato dal basso che aveva dato voce e libertà alle sottoculture americane, alla libertà sessuale e, sulle piste da ballo, all'integrazione razziale più autentica.
Verso la fine degli anni '70, una serie di fattori concomitanti (i cambiamenti economici e politici che portarono all'elezione del conservatore Ronald Reagan, il precipitare della crisi sociale con la diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili che preannunciava lo stigma dell'epidemia dell'AIDS) segnarono il declino della disco negli Stati Uniti. Negli anni successivi alla Disco Demolition Night, numerosi sociologi descrissero la violenta reazione come "implicitamente maschilista e bigotta, un attacco alle culture non bianche e non eterosessuali".
Il nuovo progetto di Lovett/Codagnone, riflette su quegli eventi, che è parte della loro memoria e del nostro passato più prossimo. Un lavoro che esprime una certa malinconia, ma anche una riflessione lucida e asettica sul presente, su quei processi di normalizzazione in atto che castrano e soffocano la cultura del dissenso, del soggettivo. Processi "che inscenano un ulteriore disciplinamento: la produzione di parametri della soggettività, che siano conformi a norme astratte, le quali poi condizionano e al contempo eccedono le vite che creano, e distruggono" (J. Butler).
La libertà sessuale, la libertà dei corpi, finanche certi comportamenti eccessivamente edonistici o spregiudicati, hanno significato il riappropriarsi di spazi di vita, l'affermazione paritaria di una galassia di esistenze.
Questo nuovo corpus di opere parte dalla (nostra) storia, dalla vita dei club e della controcultura; la sua importanza politica è stata il definirsi come luogo sovversivo / dissidente e quindi fertile ed ispiratore per la produzione culturale non omologata; la crisi dell'aids e la gentrificazione del "dance floor", la gentrificazione della città e della nostra sessualità. Il commercio, come status dominante, così come questa versione ripulita di New York, dove le libertà autonome sono quasi scomparse, ci lascia nostalgici...(L/C)
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