Da: La Fenice Gallery <info@lafenicegallery.com>
Date: 24 settembre 2013 22:59
Oggetto: Performance: domenica 29 settembre 2013, ore 20.00 - "STANZA 108 - SUL PERTURBANTE" di Alessandro Ragazzo e Giacomo Artusi - La Fenice Gallery, Venezia
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| La Fenice Gallery è lieta di invitarvi a "STANZA 108 - SUL PERTURBANTE" Alessandro Ragazzo e Giacomo Artusi
Performance Domenica 29 settembre 2013, dalle ore 20.00 alle 21.00 Testo di Enrico Bettinello "Camminando nella calle sentii da dentro salire un rumore sordo che si dilatava, pervadeva il mio corpo. Preso da terrore e sgomento mi girai per capirne la fonte e la causa, era un orribile basso cadenzato che pervadeva l'intero spazio. Mi venne riferito che ero impallidito, sgomento... L'inspiegabilità dell'evento e la persistenza di questa mia angoscia mi convinsero che stavo per esser colto da infarto. Lo sgomento cessò e tutto ritornò alla normalità, o quasi. In seguito scoprii l'origine di quel suono: in alcune parti della pavimentazione veneziana si possono trovare ampie "bolle" di vuoto, create per lasciare spazio alle tubazioni, vuoto, che crea cassa di risonanza. Il suono dei passi, sopratutto con una ciabatta o scarpa a suola fina crea una forma di tono basso, alternato, dalla cadenza del camminare, che rimbomba, dilagando, mutando l'intera calle in una vera e propria cassa di risonanza architettonica. Rumori estranei che si fan largo nell'inconscio quotidiano diventando terrore..." (Alessandro Ragazzo) Dov'è la stanza 108? È una azione sensoriale, sonora e visuale, che si muove nelle inquiete lande del perturbante quella che La Fenice Gallery ospita domenica 29 settembre 2013. Quel perturbante che sulla crudele – e labilissima – linea di confine tra ciò che è familiare e ciò che non lo è continua a mettere in discussione le certezze di coloro i quali sentono affiorare ai propri sensi la sensazione di un dettaglio fuori posto, di un silenzio che si è smarrito, di una memoria che affiora sinistramente come una nebbia improvvisa e lenta. Lavorando con una serie di suoni "rubati" alla città e restituiti all'incontro inatteso con il viaggiatore o la viaggiatrice che vi si imbatta (dopotutto anche chi a Venezia vive ha il privilegio di non perdere mai, neppure negli automatismi degli spostamenti quotidiani, la sua natura di "esploratore"), Alessandro Ragazzo costruisce una fitta rete di passati e futuri possibili la cui natura non ci giunge mai nitida, ma sappiamo che riguarda noi stessi. A chi appartengono quei suoni? Eravamo veramente dentro al Teatro quella sera? Perché ora siamo qui, spostati di pochi metri? Chi ha dormito in questa stanza? O forse non dormiva. E perché ha disseminato l'aria di indizi che solo noi sappiamo cogliere? Perché abbiamo sempre camminato a pochi centimetri dall'acqua e non ci siamo mai accorti che forse siamo sempre rimasti fermi e tutto il resto scorre intorno a noi? La costruzione sonora di Alessandro Ragazzo si muove secondo una partitura che da una prova d'orchestra giunge allo spaesamento solo se si attraversa una Venezia sommersa sottratta ai luoghi comuni e abbandonata a tutto il suo spettrale potenziale mnestico. Da qualche luogo segreto emergono anche le immagini curate da Giacomo Artusi, che se da un lato illudono di poter dare un qualche appiglio, presto aggiungono all'esperienza ulteriori stratificazioni di familiarità/estraneità e ci proiettano – in un senso che è letterale ancor prima che figurato – dentro un fantasmatico rimpiattino in cui le sagome che crediamo di toccare sono ricordi che si liquefanno al contatto con le nostre dita. Fuori dai confini stessi della galleria, in uno stato di inedita attenzione sia ai dettagli esterni che a quelli delle proprie sensazioni, incontriamo ciò che Schelling – prima ancora che Freud – definiva "affiorato quando invece sarebbe dovuto rimanere segreto, nascosto" in un luogo in cui perdersi, riconoscere e disconoscere, avvolgersi nell'immobile scorrere del tempo ripetuto, rimanere in bilico fra sogno e coscienza. Tra Henry James e Kubrick, il brivido e il piacere di farsi avvolgere dai fantasmi della propria memoria (o quella di qualcuno che saremmo potuti essere), forse con nostalgia, forse con un po' di sorpresa, di certo con emozione. Enrico Bettinello (BlowUp Magazine, Il Giornale della Musica) |
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