101 allegorie per rappresentare il mondo
26 GIUGNO – 20 LUGLIO 2010
Si inaugura sabato 26 giugno alle ore 20,00 la mostra d'arte contemporanea, curata da Dores Sacquegna, all'insegna di una trasversalità linguistica e visionaria con gli interventi di artisti della Global Art internazionale. La mostra di pittura, installazione, fotografia e tecniche miste nasce come un melodramma, tra le cui righe e immagini, si amalgamano le visioni dettate da un modello narrativo cinematografico e letterario, che gioca sulla visionarietà del film "100 Allegorie per rappresentare il mondo" del regista Peter Greenway, uno dei più significativi cineasti della cinematografia britannica contemporanea, e su alcune frasi del libro "Psiche e Techne" del celebre filosofo Umberto Galimberti .
In occasione dell'opening inaugurale la performance dell'artista leccese Massimiliano Manieri dal titolo "Memorie delle superfici". La performance di Manieri - che nella sua lettura più ampia ci ricollega alle parole del filosofo francese Baudrillard nella sua "Illusion de la fin" in relazione alla morte dell'oggetto e al senso di perdita - ne ribalta il concetto, intavolando una piece dove egli stesso rappresenta l'oggetto e il soggetto del desiderio. Natura e artificio, corpo come cibo e pratica di potere e di selezione, valore d'uso e valore di scambio, biodiversità e cultura di massa. Su questi concetti si innesta la ricerca del I atto sulla dicotomia dell'"Obbedienza & C-Astrazione", dell' uomo-simbolo-simulacro, alienato dalla società industriale. Una provocazione colta sul mutamento dalla qualità alla quantità, sulla strumentazione tecnica dei media.
Tra i concetti di Galimberti la curatrice ha scelto 101 frasi, invitando gli artisti a rappresentarle in maniera visuale. E come nei giochi dadaisti gli artisti hanno attinto da questo straordinario dizionario simbolico con una varietà di concetti e forme linguistiche. L'americana Pam Longobardi denuncia la società di consumo, intesa come vuota di valori con i suoi "specchi non specchianti di Saffo" realizzati in plastica nera recuperata sulle spiagge del mondo. Fernando De Filippi, leccese, che vive ed opera tra Verona e Milano, direttore per anni dell' Accademia di Belle Arti di Brera, si ispira al "tempo della natura" con le opere " I miei rami sono la dimora degli spiriti dell'aria". La follia, interpretata nel simbolismo informale pittorico del brindisino Donato Bruno Leo, e la realtà surreale nelle "Metropolis" del pechinese Yu Zhaoyang, nel costante desiderio dell'invalicabilità del limite. La mostra si snoda in una serie di interpretazioni che scardinano i valori della società del benessere, attraverso una diversificata e intelligente metafora del tempo presente, in cui la tecnica è diventata l'ambiente che ci circonda e ci restituisce quelle regole di razionalità che si misurano sui criteri dell'efficienza e della funzionalità. Questa mostra si propone di rivedere i concetti di individuo e identità, attraverso allegorie e parole che rappresentano il disincanto del nuovo mondo. Su "la tecnica è il nostro mondo" le fotografie del belga MattBed, con "l'uomo abita la differenza" la dark queen che simboleggia la lussuria (serie peccati capitali) del salentino Dario Manco. Identità e riconoscimento nei paesaggi artefatti della giovane inglese Helen Saunders, mentre "sulla cultura come condizione fisica dell'esistenza" le fotografie del giapponese Motohiko Hasui. Riflettendo sulla memoria e sulla sua perdita, il dizionario allegorico della genovese Margherita Levo Rosenberg con "Memoria lacunare 1" che con fare dadaista ha recuperato alcune frasi da un libro di scienza e tecnica, riportandole nel suo breviario di coni con pellicole radiografiche impressionate e che rappresenta l'interezza della vita e la presenza mnesica. Sul destino e la casualità il "Kismet" (una sorta di finestra sul mondo musulmano) l'opera dell'americana Elisabeth Louy, che riflette anche sul concetto dell'abisso della follia (con Ode a Ceres) e sulle etnie rituali Masai sul corpo come rappresentazione dell'anima. L'io e il mondo nelle fotografie su seta "Almost in the dark" della polacca Gabriela Morawetz, mentre sull'associazione tra spreco e conservazione le "macchinazioni" del barese Vito Sardano, che si basano sul principio della differenza tra l'uomo e il simbolo e sul simbolismo della percezione. Sul linguaggio come orientamento delle pulsioni e come cura, le opere pittoriche della francese Nine Rolland e dell'artista turca Pinar Selimoglu. Sulla nascita della psicologia della mente, le opere dell'australiana Marnie Pitts. Più ironica la ricerca della francese Olga Suarez e dell'olandese Peter De Boer, sul paradosso della guerra ed il primato della cosmografia sulla storia. A Kundera e alla sua "insostenibile leggerezza dell'esere" la scultura in polistirolo dell'olandese Cor Fafiani. Sulla solitudine e il silenzio, le fotografie in bianco e nero dell'abruzzese Paolo Di Giosia, su fede ed erotismo, l'installazione "Sinfonia per organo" del salentino Massimiliano Manieri. Ed ancora, con la nostalgia della primitiva innocenza e i "primi giochi di spiaggia" le opere pittoriche della fiorentina Monica Branchetti, ed infine sul calvario dello spirito, sull'istinto come legge e il feticismo del sistema, le opere del venezuelano Carlos Anzola con le sue "Cruz", realizzate con fotografie di uomini e donne abbandonate ad un destino fatale di morte e dolore. E per restare in tema filosofico-concettuale, si conclude con una frase di Galimberti: "Da questo paesaggio insolito, si annuncia una libertà diversa, non più quella del sovrano che domina il suo regno, ma quella del viandante che paradossalmente non domina neanche la sua vita".
APERTURA MOSTRA:
Dal lunedì al sabato ore: 16-20, mattina su appuntamento
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